Diario del Novecento by Piergiorgio Bellocchio

Diario del Novecento by Piergiorgio Bellocchio

autore:Piergiorgio Bellocchio [Bellocchio, Piergiorgio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Literary Collections, General
ISBN: 9791259810335
Google: dJhxEAAAQBAJ
Amazon: B0B2FC66FF
editore: Il Saggiatore
pubblicato: 2022-05-26T00:00:00+00:00


In quel 1943, quando sull’Italia, già teatro di guerra e presto anche di guerra civile, incombevano i massimi pericoli, mio padre disse una volta scherzando che, al peggio, avremmo potuto tutti rifugiarci da Poggioli. Scherzava, è vero, ma sapeva anche benissimo che quell’uomo sarebbe stato capace di affamare se stesso e la sua famiglia per sfamare noi, ci avrebbe difeso contro tutti e anche a costo della vita. (Mia madre, ricordo, non apprezzò la battuta e replicò seccamente: «Io vado da mia madre», a Castell’Arquato.)

. . . . .

Annetta era la nostra domestica, arrivata in città dalla campagna. Nubile come la sorella Maria, che era anche un po’ fragile di mente (un’altra sorella era suora). Annetta era rozza, rassegnata, buona. Era piuttosto brutta: piccolissima, corta, come schiacciata dal peso della miseria originaria, era robustissima e forte. Le fiabe che a volte ci raccontava non originavano dai libri, ma dai suoi rudimenti religiosi, intrecciati a superstizione e simbologie ancora quasi pagane. Il prete che scongiurava la grandine («la tempesta» diceva Annetta), ma pagava il prezzo di vedere la faccia orribile del diavolo; e il contadino che non ci credeva, e fu convinto dal prete solo col fargli appoggiare il piede sul suo al momento dello scongiuro: e anche il contadino restò tramortito e stravolto dall’orribile visione.

La sua rassegnazione era totale. Quando non dormiva da noi nel sottotetto (oppure ci seguiva in campagna, ma malvolentieri), tornava al suo appartamentino nel quartiere malfamato della città, dove abitava con sua sorella sopra al casino: due vergini, semplici e pie, che vivevano fianco a fianco del commercio carnale, subendo il va e vieni dei clienti (in una città come Piacenza, e dato il livello basso della casa, soprattutto soldati semplici), che poi puntualmente, appena uscivano, anche senza essere ubriachi pisciavano in strada contro il loro muro. Non avevano la luce elettrica: andavano a dormire al calar del sole, e quando pure ne avessero avuto bisogno si accontentavano di un lampione molto prossimo alla loro unica finestra.

Quando mi stava per nascere una figlia, avevo seriamente considerato di chiamarla Anna, Annetta, per ricordare questa donna devota che nel frattempo era morta, questa personificazione della rassegnazione… Poi prevalsero motivi di opportunità più strettamente famigliari, e sono lieto che la mia unica figlia si chiami come mia sorella Maria Letizia. Ma credo che allora contò anche, ripensando alla povera Annetta, che la scelta del suo nome potesse essere di malaugurio: per mia figlia volevo tutt’altro (bellezza, intelligenza, fortuna…). E non ne feci niente.

I giornali del 4 settembre ’92 riportano l’ultima lettera del deputato socialista Sergio Moroni, inquisito e incarcerato dal pool milanese di «Mani pulite», indirizzata al presidente della Camera prima di suicidarsi. La scelta di Moroni, inutile dirlo, merita tutto il rispetto. È il segno di una serietà e onestà di base, che è mancata e manca a gran parte della classe politica, già inquisita o non ancora o che non lo sarà mai, ma responsabile in solido (chi più chi meno) della corruzione dilagante e della rovina in cui ci troviamo.



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